lunedì 23 maggio 2016

Profughi, deportazioni in massa dal Sudan



Agenzia Habeshia

 
Sono espulsi in massa verso quell’Eritrea dalla quale sono fuggiti per salvarsi dalle persecuzioni e dalle angherie della dittatura. Sta accadendo in Sudan: quasi 400 profughi sono già stati consegnati, contro la loro volontà, alla polizia di frontiera di Asmara. Altri, centinaia, sono rinchiusi in centri di detenzione statali, in attesa di essere condotti sotto scorta al confine. Per ognuno di loro si apriranno, in Eritrea, le porte delle galere del regime, imputati di espatrio clandestino ma, soprattutto, per la stragrande maggioranza, con la ben più pesante accusa di diserzione, per essersi sottratti al servizio di leva obbligatorio che nel paese, da anni totalmente militarizzato dal regime di Isaias Afewerki, ha una durata indefinita, a partire dall’età di 17/18 anni in poi.
Il governo di Al Bashir ha fatto scattare l’operazione lunedì 16 maggio, con una serie di retate condotte a Khartoum tra i rifugiati di più recente arrivo: giovani – donne e uomini – giunti in Sudan solo come paese di transito, con l’intenzione di proseguire appena possibile la fuga verso nord, attraversando il Sahara fino in Libia o in Egitto e da qui trovare un imbarco per raggiungere l’Europa.
La polizia ha agito quasi a colpo sicuro. Negli ultimi anni la capitale sudanese è diventata il principale hub di transito per migliaia di profughi e migranti provenienti dal Medio Oriente, dal Corno d’Africa e dall’Africa sub sahariana. E’ bastato rastrellare capillarmente i quartieri dove in genere si concentrano i rifugiati. Già nei primi due giorni di retate ci sono stati centinaia di fermati. Dopo una rapida comparsa davanti a un magistrato – ha raccontato un giovane della diaspora eritrea in Sudan – circa 380 sono stati espulsi e consegnati alla polizia di frontiera eritrea al valico di Talatacir. Da quel momento non si sono più avute notizie di loro. Nell’arco della giornata di mercoledì 18 maggio, secondo la stessa fonte, altri 600 migranti sono stati fermati: su tutti grava l’incubo del rimpatrio forzato.
E’ la prima volta che in Sudan si registrano rastrellamenti ed espulsioni di questa portata in così breve tempo. Colpisce che nel mirino ci siano essenzialmente i profughi di arrivo più recente, mentre quelli insediati da tempo nel paese sono stati quasi ignorati. Non può essere un caso. C’è da ritenere, anzi, che si segua un piano ben preciso, con ogni probabilità ricollegabile all’attuazione del Processo di Khartoum, l’accordo per il controllo dell’immigrazione proveniente dalla fascia orientale dell’Africa, voluto fortemente dall’Italia e dall’Unione Europea e di cui anche il Sudan è firmatario. E, in ogni caso, le retate e i rimpatri forzati verso l’Eritrea in corso da giorni, sono la prova che la politica di esternalizzazione delle frontiere europee perseguita dall’Unione, affidando il ruolo di “gendarmi” per il controllo dell’immigrazione a dittatori come Al Bashir o Isaias Afewerki, viola gravemente i diritti dei profughi e richiedenti asilo e rende l’Europa complice delle sofferenze subite dai rifugiati, consegnati al carcere, alla tortura, forse alla morte.

A fronte di tutto questo l’agenzia Habeshia fa appello:

 – All’Unhcr perché intervenga immediatamente per chiarire la pesante situazione che si profila in Sudan e, soprattutto, per bloccare immediatamente i fermi e i rimpatri forzati dei profughi verso l’Eritrea, ovvero la loro consegna proprio alla dittatura da cui hanno cercato scampo con la fuga.

– All’Unione Europea e in particolare all’Italia perché chiedano con forza al governo di Asmara concrete garanzie sulla sorte, l’incolumità e la libertà personale dei profughi che gli sono stati consegnati contro la loro volontà.

– Ancora, all’Unione Europea e in particolare all’Italia perché riconsiderino la politica dei respingimenti in massa introdotta di fatto con accordi come il Processo di Rabat, il Processo di Khartoum, le intesse di Malta e quelle con la Turchia.
 
Roma, 19 maggio 2016

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