mercoledì 6 marzo 2013

La tragedia del giovane eritreo a Crotone: un atto di accusa contro l’Italia



di Emilio Drudi

E’ stata una morte annunciata. La morte di un giovane fuggito dalla guerra e dalla persecuzione in Eritrea per cercare la libertà e un domani migliore in Italia. Ma che in Italia ha trovato invece incomprensione, chiusura, ostilità: la negazione dei diritti propri di ogni essere umano. Così si è arreso e ha deciso di farla finita.
E’ la storia di un ragazzo di 32 anni arrivato, come migliaia di altri disperati, su una carretta carica di umanità e spinta attraverso il canale di Sicilia più dalla buona sorte che dalla forza dei suoi motori malandati. Una volta sbarcato, ha seguito il calvario burocratico di accertamenti infiniti, sino a finire nel campo profughi di Crotone Sant’Anna, uno dei centri di accoglienza italiani più contestati dalle organizzazioni umanitarie, dove ci sono state numerose rivolte e dove gli episodi di disperazione e autolesionismo tra gli ospiti sono frequenti. E’ rimasto lì per mesi. Un numero tra tantissimi altri numeri, abbandonato in un limbo di incertezza crudele, senza alcuna forma di inserimento e senza che qualcuno lo aiutasse almeno a sperare. Poi, finalmente, la sua domanda di protezione internazionale è stata esaminata ed accolta: ha ottenuto lo status di rifugiato ed è potuto uscire. Varcati i cancelli, tuttavia, si è trovato di fronte il vuoto. Un vuoto enorme, che si è rivelato incolmabile. Fatto di totale mancanza di prospettive: emarginazione, nessuna possibilità di lavoro, niente casa (tanto da figurare ufficialmente un “senza fissa dimora”) se non il rifugio di fortuna che era riuscito a procurarsi, insieme ad altri profughi, ad Isola Capo Rizzuto, poco lontano dal centro di accoglienza. Ma un vuoto, soprattutto, nel profondo del cuore, con il crollo di ogni fiducia nel futuro. In un Paese che quelli come lui magari li accoglie, ma poi non gli consente nulla.
E’ lo stesso vuoto che vela lo sguardo di migliaia di altri protagonisti di fughe disperate dal Sud del mondo, “invisibili” dei quali lo Stato italiano si è dimenticato, abbandonandoli per strada, nel momento stesso in cui ha consegnato loro i documenti di soggiorno. “Non persone” che, per avere almeno un tetto, sono costrette ad occupare palazzi vuoti e cadenti nelle periferie urbane o a popolare bidonville e baraccopoli ai margini delle città, lungo gli argini dei fiumi, negli sterrati polverosi. Disperati senza diritti, ignorati da tutti, salvo a ricordarsene quando servono braccia in nero da ingaggiare a buon mercato attraverso caporali e sfruttatori.
Quel ragazzo non ha lasciato messaggi per spiegare il suo gesto. Neanche una parola di protesta o di accusa. Se ne è andato e basta, scegliendo di morire in silenzio, poco lontano dal campo profughi dal quale era uscito da poco. Ma il suo è un silenzio assordante. Urla che ad ucciderlo è stato proprio quel vuoto che in tanti hanno contribuito a  creare. Ad esempio, la burocrazia che lo ha considerato sempre e solo un numero anziché una persona. L’ostilità di fondo di una politica di accoglienza ipocrita: costosissima ma inefficace e sorda alle esigenze reali e ai diritti di chi dovrebbe giovarsene. La gente che non si indigna di fronte a un dramma così evidente ed anzi guarda spesso a questi disperati con fastidio, sospetto, inimicizia. E non vuole ascoltarli. Lo ha ucciso, in una parola, l’indifferenza in cui si perde il grido d’aiuto che sale dal Sud del mondo con la voce e le storie di questo ragazzo eritreo e di altre migliaia e migliaia di giovani come lui, uomini e donne.
Nei giorni scorsi il governo italiano ha aggiunto un capitolo a questa storia di indifferenza decretando la fine ufficiale della crisi dichiarata nella primavera del 2011, quando bisognava fronteggiare l’esodo di una folla enorme di profughi dal Nord Africa, sconvolto da guerre e rivoluzioni. La conseguenza è il “fuori tutti” dai centri di accoglienza aperti circa due anni fa. Così, dopo che sono stati dissipati un miliardo e 300 milioni per parcheggiare i rifugiati in alberghi, pensioni, case alloggio, strutture improvvisate, il problema resta aperto. Almeno 13 mila migranti sono stati buttati per strada: uomini, donne, a volte intere famiglie con i bambini, che avrebbero dovuto seguire percorsi formativi e di inserimento, imparare l’italiano, andare a scuola, acquisire gli “strumenti” per integrarsi nella società. E  che, invece, sono stati per lo più costretti a “vegetare”, senza riuscire a costruirsi alcuna prospettiva di vita. Dall’inizio alla fine, insomma, solo e sempre numeri. Disponibili per ogni forma di sfruttamento. Un “fastidio” che lo Stato pensa di risolvere con un permesso di soggiorno umanitario valido per un anno, una “buonuscita” di 500 euro una tantum e un ticket di viaggio. Ma molti non sanno nemmeno dove andare, tanto più che, trattandosi nella grande maggioranza di perseguitati politici, la via del rimpatrio è addirittura impensabile. A meno di non volerli consegnare alla galera e alla morte. Con il risultato, in definitiva, di ingrossare ulteriormente la massa degli “invisibili” che affollano le baraccopoli e i palazzi occupati abusivamente nelle periferie. Non a caso Soumahoro Aboubakar, il responsabile nazionale immigrazione dell’Unione Sindacale di Base si aspetta “giorni di terrore per i profughi e i richiedenti asilo in Italia” e, in una dichiarazione al quotidiano La Stampa, ha annunciato “il rifiuto dei 500 euro per protesta contro una politica che non tutela chi fugge da guerre e miseria”.
La terribile fine di quel ragazzo eritreo a Crotone denuncia tutta questa enorme emergenza umanitaria inascoltata. Ed è significativo che, proprio prendendo spunto dalla sua tragedia, Laurens Jolles, delegato per il Sud Europa del Commissariato ONU per i rifugiati, abbia invitato a riflettere “sul ripetersi, nelle ultime settimane, di drammatici gesti di disperazione da parte di persone in cerca di protezione in Italia”. Ed ha aggiunto: “Migliaia di persone, pur avendo ottenuto una protezione internazionale, vivono in Italia in condizioni di disagio e degrado. Per questo l’Agenzia per i rifugiati auspica che il prossimo governo italiano abbia la forza politica e morale per affrontare i problemi relativi all'assistenza e all'integrazione  garantendo alle persone che fuggono da guerre e persecuzioni l’effettivo godimenti dei loro diritti”.
Perché non ci siano mai più tombe di ragazzi sulle quali dover scrivere: “Ucciso dall'indifferenza”. Ma nell'agenda politica di tutti i gruppi parlamentari appena eletti la difesa dei diritti non ha trovato posto. O, al più, occupa capitoli secondari, che non infiammano il dibattito e l’attenzione della gente.

Nessun commento: