giovedì 28 febbraio 2013

La scomparsa dei Diritti Umani.


Esseri umani in cambio di armi: con i profughi schiavi un affare da 35 milioni di dollari l’anno



Per il ciclo di appuntamenti organizzati dall’associazione “Rinascita Civile”, domenica prossima è in programma a Latina un incontro sulla tragedia dei rifugiati e dei migranti africani. E’ il racconto di migliaia di storie disperate: del grido di aiuto che sale dal Sud del mondo, inascoltato dalle cancellerie occidentali e dalla comunità internazionale. Ad introdurre il tema sarà il film documentario “Mare Chiuso”, di Stefano Liberti e Andrea Segre, una testimonianza diretta della vicenda crudele dei respingimenti indiscriminati in mare, che ha avuto un vasto successo di critica e di pubblico nei maggiori festival nazionali ed europei. Sarà presente Stefano Liberti che racconterà l’esperienza nel campo profughi di Shousha, in Tunisia. Seguirà una tavola rotonda coordinata da Felice Costanti, del direttivo di Rinascita Civile, con la partecipazione di Emilio Drudi, giornalista, e Gabriella Tomei, legale della cooperativa Karibu di Sezze-Roccagorga, che si occupa dei rifugiati dal Nord Africa.
L’appuntamento è alle ore 17, aula magna del liceo scientifico “Grassi”, in via del Lido. Nel corso del dibattito verrà affrontato anche il dramma dei profughi schiavi nel Sinai, spesso venduti sul mercato degli organi per i trapianti clandestini. Una emergenza umanitaria, che è anche il tema del servizio che segue.





di Emilio Drudi

Esseri umani in cambio di armi: il traffico di schiavi e di organi per i trapianti clandestini che ha base nel Sinai serve essenzialmente a rifornire gli arsenali di gruppi fondamentalisti islamici o di movimenti jihadisti, di formazioni autonomiste beduine ma anche, più semplicemente, di bande criminali. La denuncia viene da Roberto Malini, portavoce di Everyone Italia, la Ong che, al pari dell’agenzia Habeshia di don Mussie Zerai, da anni si batte per richiamare l’attenzione della comunità internazionale su questa autentica emergenza umanitaria. “E’ una tragedia – insiste don Zerai – che travolge e costa la vita ogni anno a centinaia di giovani profughi africani. Soprattutto eritrei, etiopi e somali. Uomini e donne, ma non di rado anche adolescenti e ragazzini, fuggiti dalla guerra e dalle persecuzioni nel loro paese e poi finiti in balia di organizzazioni criminali spietate. Nel silenzio quasi totale della ‘fortezza Europa’, sempre più blindata nei suoi confini e sorda al grido d’aiuto di quei disperati”.
Il giro d’affari sulla pelle di questi ragazzi è enorme. “Secondo le autorità egiziane, chiamate in causa dalle denunce e dai dossier presentati da varie Ong internazionali – riferisce Roberto Malini – si arriva a non meno di 35 milioni di dollari l’anno, quasi tutti reinvestiti nel traffico di armi”. E il trend è in crescita. Basti dire che il riscatto preteso per ogni prigioniero è salito a 50 mila dollari, cinque volte di più della taglia richiesta nel novembre 2010, meno di tre anni fa. Con l’incubo, per chi non è in grado di pagare, di essere consegnato al mercato nero dei trapianti: persone usate come “serbatoio” da cui prelevare reni, cornee ed altri organi vitali.
“Dopo anni di lotta – dice Malini – qualcosa si sta muovendo per porre fine a questo orrore. Istituzioni internazionali come le Nazioni Unite e il Parlamento Europeo hanno iniziato ad esercitare pressioni costanti sull’Egitto perché questa forma odiosa di crimine organizzato sia combattuta con mezzi adeguati. In Germania, anzi, il Parlamento sta discutendo l’eventualità di un intervento diretto a sostegno della lotta contro il traffico di schiavi nel Sinai. Ma non basta. Le organizzazioni che gestiscono il mercato di esseri umani e di organi operano a livello internazionale. Hanno radici, ad esempio, in Eritrea, in Sudan e in Egitto, dove possono contare sull’appoggio di autorità o funzionari corrotti e dei movimenti jihadisti. Collabora con i trafficanti anche un gran numero di eritrei, etiopi e sudanesi vicini all’integralismo armato, rendendo ancora più complesso e terribile questo fenomeno criminale. E i vertici dell’organizzazione hanno basi di appoggio nei paesi arabi, in Israele e perfino in paesi dell’Unione Europea o comunque occidentali, dove fluisce il denaro dei riscatti e della vendita di organi, tramite banche o agenzie di money transfer. Se davvero si vuole fermare il traffico di schiavi che alimenta poi il contrabbando di armi, è fondamentale allora istituire un organismo di controllo su questi grossi movimenti di valuta”.
Ma la situazione dei profughi, intanto, continua  peggiorare. Le frontiere europee, come denuncia don Mussie Zerai, sono sempre più blindate. La via della Libia verso l’Italia si è quasi totalmente chiusa con gli accordi bilaterali stipulati tra i governi di Roma e di Tripoli. Prima Berlusconi e poi anche Monti hanno creato una specie di “sbarramento per delega” nel Mediterraneo, affidando di fatto alla polizia e alle carceri libiche il controllo dell’emigrazione dal Nord Africa verso la Sicilia. “Ma è in pratica tutta l’Europa, appena insignita del premio Nobel per la Pace – accusa don Zerai – ad aver adottato una politica di chiusura e di ‘esternalizzazione’ dei confini continentali nel sud del Mediterraneo, delegando a paesi come la Libia il lavoro criminoso di relegare in autentici ghetti migliaia di profughi africani. In modo che non possano venire a ‘bussare’ direttamente alle sue porte. Finora ha fatto eccezione la Svizzera, che prevede la possibilità di accogliere le richieste di asilo anche presso le sue sedi diplomatiche sparse in tutto il mondo. Ma dal prossimo mese di giugno anche questo canale rischia di venir meno: è in programma un referendum proprio per chiedere l’abolizione totale anche di quella che appare ormai l’unica via rimasta. Se la proposta passerà, le mura dell’Europa si chiuderanno del tutto. Una scelta che ha un duplice, terribile risultato: espone a sofferenze indicibili profughi e rifugiati costretti in lager come quelli libici e favorisce il traffico clandestino di esseri umani”
La stessa politica viene adottata in Israele che, come “avamposto dell’Occidente”, è la meta dei profughi che cercano di fuggire attraverso il Sinai. Da circa un anno il governo ha iniziato una campagna contro i migranti senza documenti provenienti da Eritrea, Etiopia, Sudan e da altri paesi africani. Lungo tutto il confine, oltre a intensificare la vigilanza, con pattugliamenti continui via terra e ricognizioni aeree, è in fase di costruzione una barriera lunga 250 chilometri. Il primo obiettivo è bloccare le infiltrazioni di nuclei terroristi islamici e il contrabbando di armi che rifornisce i movimenti armati nella striscia di Gaza. Ma, di riflesso, si è creata una chiusura totale anche nei confronti dei rifugiati. Una chiusura non casuale, secondo Roberto Malini: “Contro i profughi sono state adottate misure draconiane che consentono di detenerli e deportarli senza alcun rispetto per i loro diritti. L’anno scorso la Knesset, nonostante le proteste del Gruppo Everyone discusse nella stessa seduta parlamentare, ha approvato un emendamento alla legge per la prevenzione delle infiltrazioni che consente l’imprigionamento senza processo, nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa sub sahariana, nel campo di detenzione di Saharonim, nel Negev settentrionale. Non solo. Attualmente circa 60 mila profughi eritrei, etiopi e sudanesi vivono in Israele senza documenti e senza che siano valutate le loro richieste di asilo o di protezione temporanea, in violazione delle stesse leggi israeliane, oltre che della Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati”. Sessantamila giovani – aggiunge don Zerai – il cui destino appare segnato: se non interverranno cambiamenti, al momento del tutto improbabili, nella politica israeliana, il governo è deciso a rimpatriarli o comunque ad espellerli dal paese. Verso il Sudan e il Sud Sudan i rimpatri, anzi, sono già iniziati”.
Il “Nord del mondo”, insomma, continua a blindarsi proprio mentre in Africa si moltiplicano le emergenze e migliaia di profughi sono costretti a fuggire da nazioni dove sono in corso gravi persecuzioni o imperversa la guerra. Non a caso sono sempre più affollati i campi di accoglienza nel Sudan, in Etiopia, nello Yemen. Ed è proprio lì, in quei campi, che monta la disperazione che spinge poi centinaia, migliaia di giovani a tentare il tutto per tutto pur di arrivare in qualche modo in Europa o in Israele. Fornendo così una riserva infinita di vittime ai mercanti di schiavi. Nella mancanza totale di altre prospettive, infatti, per le “guide” in contatto con le organizzazioni criminali è sempre più facile attirare quei giovani, facendo balenare il miraggio di un “passaggio” clandestino attraverso il Mediterraneo o il Sinai, in cambio di 4 o 5 mila dollari. Salvo poi, una volta intascato il ticket, consegnarli in realtà ai trafficanti. E, a quel punto, il cerchio si chiude: chi non riesce a pagare il riscatto, viene messo in vendita. Qualche volta, specie le ragazze più giovani, nel giro della prostituzione internazionale o dei matrimoni forzati. Quasi sempre sul mercato dei trapianti clandestini. 

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