venerdì 26 giugno 2009

Orizzonti: Una preghiera per chi è «morto di speranza»

A Santa Maria in Trastevere la celebrazione, presieduta dall'arcivescovo Vegliò, per ricordare i migranti vittime dei viaggi verso l'Europa: 375 solo nei primi quattro mesi del 2009 di Massimo Camussi Circolo S. Pietro, Messa del cardinale Bertone Adam sopra i jeans indossa la jallabia, l'elegante tunica diffusa nel suo Paese d'origine, il Sudan, come in tutto il mondo arabo. Sorride e saluta amici italiani e stranieri: la sua cordialità trasmette gioia di vivere e fiducia nel futuro. «Io mi sento fortunato - dice -; cinque anni fa, quando dall'Africa sono arrivato in Italia, ho subito trovato persone disposte ad accogliermi ed aiutarmi». Adam ha 29 anni e viene dal Darfur, regione che da circa un quarto di secolo è teatro di feroci conflitti interetnici per il controllo delle risorse naturali. «I paramilitari avevano distrutto le nostre case, disperso e perseguitato la mia famiglia. Così sono dovuto scappare. Non avevo né documenti, né una meta precisa. Ho camminato per sette giorni nel deserto, altri sette li ho passati a bordo di un camion scoperto, prima di arrivare in Libia. Da lì, insieme ad altre 172 persone, abbiamo provato ad attraversare il mare a bordo di un piccolo battello. Quattro giorni dopo, stremati e assetati, siamo stati portati a terra dalla Guardia Costiera italiana». Ieri sera, con un gesto simbolico, Adam ha reso omaggio a chi invece non ce l'ha fatta, ed è morto nel tragitto verso quel sogno chiamato Occidente. Insieme ad altri migranti e rifugiati politici provenienti dall'Asia, dall'Africa e dal Sud America ha portato di fronte all'altare della basilica di Santa Maria in Trastevere una candela accesa, simbolo di una vita spezzata. Come quelle di Alì, Abdou e Ayoub, tre ragazzi irakeni tra i 21 e i 25 anni, trovati morti nella cella frigorifera di un tir alle porte di Trieste il 14 luglio 2007, o come Arif e Myat, due giovani pakistani soffocati in un camion diretto in Gran Bretagna. La processione delle luci, scandita dai nomi delle vittime e dal canto corale del Kyrie, è stato senza dubbio uno dei momenti più suggestivi della preghiera ecumenica “Morire di speranza. In memoria delle vittime dei viaggi verso l'Europa”, promossa ieri, in occasione della Giornata Mondiale dei Rifugiati, dalla Comunità di Sant'Egidio, dall'Associazione Centro Astalli, Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Federazione Chiese Evangeliche in Italia e Acli. Una liturgia interconfessionale alla quale hanno partecipato, tra gli altri, rappresentanti delle chiese valdesi, ortodosse, luterane, greco-cattoliche. «Le persone che accogliamo - spiega Daniela Pompei, della Comunità di Sant'Egidio - ci parlano dei loro amici e parenti perduti. Ecco perché una volta l'anno rinnoviamo questo appuntamento: custodiamo così uno spazio necessario di umanità e spiritualità, nell'incontro fraterno tra le diverse fedi, ricordando nella preghiera i nomi e le storie di chi è morto, perché non siano solo un numero nella massa». L'intera cerimonia, ricca di musiche e ritmi tradizionali africani, è stata presieduta dall'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti. «Quante speranze, quante ansie, quanti drammi dolorosi - ha ribadito monsignor Vegliò nella sua omelia -! Nel nostro mondo se ne parla poco. Sembra che tanti non vogliano vedere per compatire, per accogliere chi ha tanto rischiato e sofferto per approdare a questa sponda». Eppure i dati statistici descrivono un dramma difficile da ignorare: 642 tra morti e dispersi nei viaggi verso l'Italia nel 2008; 375 solo nei primi quattro mesi del 2009; 14.357 le vittime accertate tra il 1990 e il 2009 durante le traversate verso l'intera Europa. «Possa arrivare a chi si trova in viaggio, sperando di poter cominciare una vita nuova altrove - esorta l'arcivescovo, citando la tempesta placata da Cristo, nel Vangelo di Marco - la bonaccia di una accoglienza calorosa su una sponda nuova». E infine, con l'aiuto dell'immagine sacra distribuita ai presenti alla fine della celebrazione, monsignor Vegliò rinnova l'impegno comune nella preghiera: «Come l'Arca salvò la vita di Noè durante il diluvio, così noi pregheremo affinché i numerosi uomini e donne che ora stanno viaggiando per terra e per mare, per fuggire dalla tempesta in cui si sono trovati, possano essere accolti e non respinti nei paesi in cui regna la pace, vige la libertà, abbonda il pane per tutti». 26 giugno 2009

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