martedì 9 giugno 2009

Immigrati. Donne a Gheddafi: Non saremo tra le 700 che incontrerà

Roma, 9 giu. - La richiesta del leader libico Gheddafi di incontrare durante la sua visita in Italia circa 700 donne rappresentanti del mondo imprenditoriale, politico e culturale italiano suscita la reazione di un gruppo di italiane e africane che in una lettera indirizzata allo stesso Gheddafi - e per conoscenza ai rappresentati del governo italiano e dell'Unione europea - esprime un proprio rifiuto. Le motivazioni? L'indignazione per le violenze ai danni degli uomini e delle donne presenti in Libia per lavorare o semplicemente per raggiungere l'Europa, perpetrate con la complicità dell'Italia e della Ue: rastrellamenti, deportazioni, stupri, vendita ai trafficanti di esseri umani, campi di concentramento. "Noi non facciamo nè vogliamo far parte delle 700 donne che lei ha chiesto di incontrare il 12 giugno durante la sua visita in Italia - si legge nella lettera - . Siamo, infatti, donne italiane, di vari paesi europei e africani estremamente preoccupate e scandalizzate per le politiche che il suo Paese, con la complicità dell'Italia e dell'Unione europea, sta attuando nei confronti delle donne e degli uomini di origine africana e non, attualmente presenti in Libia, con l'intenzione di rimanervi per un lavoro o semplicemente di transitarvi per raggiungere l'Europa. Siamo a conoscenza dei continui rastrellamenti, delle deportazioni delle e dei migranti attraverso container blindati verso le frontiere Sud del suo paese, delle violenze, della 'vendita' di uomini e donne ai trafficanti, della complicità della sua polizia nel permettere o nell'impedire il transito delle e dei migranti. Ma soprattutto siamo a conoscenza degli innumerevoli campi di concentramento, a volte di lavoro forzato, alcuni finanziati dall'Italia, in cui donne e uomini subiscono violenze di ogni tipo, per mesi, a volte addirittura per anni, prima di subire la deportazione o di essere rilasciati / e. Alcune di noi quei campi li hanno conosciuti e, giunte in Italia, li hanno testimoniati". "Tra tutte le parole e i racconti che abbiamo fatto in varie occasioni, istituzionali e non, o tra tutte le parole e i racconti che abbiamo ascoltato - prosegue la lettera del gruppo di donne italiane e africane indirizzata al leader libico - scegliamo quelli che anche lei, insieme alle 700 donne che incontrerà, potrà leggere o ascoltare". Questa la testimonianza diretta di Fatawhit, Eritrea : "Il trasferimento da una prigione all'altra si effettuava con un pulmino dove erano ammassate 90 persone. Il viaggio è durato tre giorni e tre notti, non c'erano finestre e non avevamo niente da bere. Ho visto donne bere l'urina dei propri mariti perchè stavano morendo di disidratazione. A Misratah ho visto delle persone morire. A Kufra le condizioni di vita erano molto dure. Ho visto molte donne violentate, i poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole. Molte di loro sono rimaste incinte e molte di loro sono state obbligate a subire un aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la propria vita. Ho visto molte donne piangere perchè i loro mariti erano picchiati, ma non serviva a fermare i colpi dei manganelli sulle loro schiene. L'unico metodo per uscire dalle prigione libiche è pagare". Una seconda testimonianza è quella di Saberen, Eritrea: "Una volta stavo cercando di difendere mio fratello dai colpi di manganello e hanno picchiato anche me, sfregiandomi il viso. Una delle pratiche utilizzate in questa prigione era quella delle manganellate sulla palma del piede, punto particolarmente sensibile al dolore. Per uscire ho dovuto pagare 500 dollari". L'elenco delle adesioni alla lettera è sul sito: www.storiemigranti.org. http://www.diregiovani.it/gw/producer/dettaglio.aspx?id_doc=28411

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